13.

Nonostante la gente e l'attività intorno a lui, Pitt era affascinato dal silenzio profondo del grande nord. Era un silenzio incredibile che sembrava sopraffare le voci e i rumori delle macchine. Aveva l'impressione di trovarsi in piena solitudine all'interno di un frigorifero in un mondo desolato.

Finalmente spuntò la luce del giorno, filtrata da una strana nebbia grigia che non lasciava ombre. A metà mattina il sole cominciò a cancellare la foschia gelida e il cielo si colorò d'un tenero bianco-arancio. La luce eterea che investiva i picchi rocciosi intorno al fiordo li faceva apparire come lapidi funerarie in un cimitero coperto di neve.

La scena intorno al luogo dell'atterraggio disastroso cominciava a somigliare a un'invasione militare. I primi ad arrivare erano stati cinque elicotteri dell'Aeronautica: avevano portato un contingente dei servizi speciali dell'Esercito, uomini armati fino ai denti e con l'aria molto decisa, che avevano circondato la fusoliera e pattugliavano l'intera area. Un'ora dopo, gli inquirenti dell'aviazione federale erano atterrati e avevano cominciato a marcare i rottami per farli portar via. Poi era arrivata una squadra di patologi che avevano etichettato i cadaveri e li avevano caricati sugli elicotteri per trasportarli al più presto all'obitorio della base aerea di Thule.

La Marina era rappresentata dal comandante Knight e dalla comparsa inaspettata del Polar Explorer. Tutti avevano interrotto il lavoro e s'erano voltati a guardare il mare quando gli ululati della sirena della nave erano echeggiati fra le montagne scoscese.

Il Polar Explorer evitò le nuove formazioni di ghiaccio basse e opache che galleggiavano sull'acqua e i primi iceberg dell'inverno, simili a rovine di castelli gotici, e avanzò lentamente nell'imboccatura del fiordo. Per qualche tempo il mare azzurro-cenere frusciò sommessamente intorno alla prua sfregiata, poi si colorò di bianco.

La prua enorme del rompighiaccio aprì agevolmente un percorso attraverso il pack, e s'arrestò a meno di cinquanta metri dal relitto. Knight ordinò di fermare i motori, fece scendere una scaletta e mise la sua nave a disposizione come posto di comando per le squadre addette alla sicurezza e alle indagini... e l'offerta fu accettata con gratitudine, senza un attimo di esitazione.

Pitt era molto impressionato dall'efficienza del servizio di sicurezza. Il blackout delle notizie non era stato ancora violato; la versione diffusa all'aeroporto Kennedy rivelava solo che il volo delle Nazioni Unite era in ritardo. Ma ormai era questione di un'altra ora al massimo prima che un corrispondente sveglio intuisse che qualcosa non andava e desse l'allarme.

«Credo che i miei occhi si siano gelati dietro le palpebre», disse lugubremente Giordino. Era seduto ai comandi dell'elicottero della NUMA e cercava di bere un caffè prima che si gelasse. «Dev'essere più freddo delle tette d'una vacca del Minnesota in gennaio.»

Pitt gli lanciò un'occhiata dubbiosa. «E come fai a saperlo? Non sei uscito dalla cabina riscaldata per tutta la notte.»

«A me vengono i geloni solo se guardo un cubetto di ghiaccio in un bicchiere di scotch.» Giordino alzò una mano a dita aperte. «Vedi? Sono così gelato che non, riesco a stringere il pugno.»

Pitt guardò dal finestrino laterale e vide il comandante Knight che arrivava dalla direzione della nave. Tornò nella cabina passeggeri e aprì il portello del carico quando Knight raggiunse la scaletta. Giordino gemette nel sentire il caldo che fuggiva e un soffio d'aria gelida che penetrava nell'elicottero.

Knight accennò un saluto e salì a bordo alitando nuvolette di vapore. Infilò una mano all'interno del parka e tirò fuori una borraccia ricoperta di pelle.

«L'ho portato dall'infermeria. Cognac. Non conosco la marca. Ho pensato che potrebbe servirvi.»

«Hai appena mandato Giordino in paradiso», rise Pitt.

«Io preferirei essere all'inferno», borbottò Giordino. Inclinò la borraccia e assaporò il cognac mentre gli scendeva nelle viscere. Poi alzò di nuovo la mano e la strinse a pugno. «Credo d'essere guarito.»

«Tanto vale che ci mettiamo comodi», disse Knight. «Ci hanno ordinato di restare qui per le prossime ventiquattr'ore. Se mi perdonate l'atroce gioco di parole, vogliono tenerci in ghiaccio fino a quando avranno finito di far pulizia.»

«Come stanno i superstiti?» chiese Pitt.

«La signorina Kamil sta riposando. A proposito, ha chiesto di vederti. Ha parlato di un appuntamento per cena a New York.»

«Per cena?» chiese Pitt con aria innocente.

«È strano», continuò Knight. «Poco prima che Doc Gale operasse i legamenti lacerati del ginocchio della hostess, anche lei ha detto di aver appuntamento a cena con te.»

Pitt aveva assunto un'espressione candida. «Immagino che avranno molta fame.»

Giordino alzò gli occhi al cielo e si attaccò di nuovo alla borraccia. «Mi pare di aver già sentito questa storia.»

«E lo steward?»

«È conciato piuttosto male», rispose Knight. «Ma Doc è convinto che se la caverà. Si chiama Rubin. Prima di addormentarsi sotto l'effetto dell'anestetico ha detto qualcosa di incredibile a proposito del comandante che avrebbe assassinato il primo e il secondo ufficiale e poi sarebbe sparito durante il volo.»

«Forse non è tanto incredibile», disse Pitt. «Il cadavere del pilota non è stato ancora trovato.»

«Non è di mia competenza.» Knight alzò le spalle. «Ho già tante cose di cui preoccuparmi, e non ho bisogno di impegolarmi in un giallo senza soluzione.»

«Come stiamo con il sottomarino russo?» chiese Giordino.

«Terremo nascosta la scoperta fino a quando potremo riferire di persona ai pezzi grossi del Pentagono. Sarebbe da stupidi buttare al vento il risultato per una fuga di notizie. L'incidente dell'aereo è stato un colpo di fortuna, almeno per noi. Ci ha offerto il pretesto logico per fare rotta verso casa e attraccare a Portsmouth non appena i superstiti saranno stati portati in un ospedale con un aereo. Speriamo che questa diversione imprevista confonda gli analisti dei servizi segreti sovietici quanto basta per toglierceli dalle costole.»

«Non ci contare», lo ammonì Giordino, che cominciava ad avere la faccia lucida. «Se i russi hanno anche solo un vago sospetto che abbiamo trovato il sottomarino, sono abbastanza paranoici da credere che abbiamo organizzato l'incidente come diversione: accorreranno quindi con navi per il recupero, una flotta di corazzate, uno stormo di aerei e, quando individueranno il sottomarino, lo riporteranno a galla e lo rimorchieranno alla base di Severomorsk nella penisola di Kola.»

«O lo faranno saltare», soggiunse Pitt.

«Pensi che lo distruggeranno?»

«I sovietici non dispongono di una grande tecnologia per i recuperi. Il loro primo obiettivo sarebbe assicurarsi che nessun altro possa mettere le mani sul sottomarino.»

Giordino passò il cognac a Pitt. «È inutile stare a discutere di guerra fredda. Perché non torniamo a bordo della nave, dove c'è un bel calduccio?»

«È un'idea», disse Knight. «Voi due avete già fatto più del vostro dovere.»

Pitt si stiracchiò e chiuse la lampo del parka. «Credo che andrò a fare due passi.»

«Non vieni con noi?»

«Fra un po'. Voglio andare a trovare gli archeologi per vedere come stanno.»

«È un viaggio inutile. Doc ha mandato al loro campo un infermiere che è già rientrato. A parte i lividi e qualche strappo muscolare, stanno tutti benone.»

«Potrebbe essere interessante vedere che cosa hanno trovato negli scavi», insistette Pitt.

Giordino aveva imparato da tempo a leggere nella mente di Pitt. «Forse hanno trovato qualche antica anfora greca.»

«Perché non chiederlo?»

Knight fissò Pitt con fermezza. «Attento a quello che dici.»

«Conosco bene la favola del rilevamento geologico.»

«E i passeggeri e l'equipaggio dell'aereo?»

«Sono rimasti intrappolati nella fusoliera e sono morti per l'ipotermia in seguito all'immersione nell'acqua gelata.»

«Credo che sia stato imbeccato a dovere», commentò Giordino in tono asciutto.

«Bene.» Knight annuì. «Hai capito tutto. Basta che non ti lasci sfuggire qualcosa che quelli non hanno motivo di sapere.»

Pitt aprì il portello del carico e fece un cenno disinvolto. «Non restate alzati ad aspettarmi.» E uscì nel freddo.

«Un tipo ostinato», borbottò Knight. «Non sapevo che Pitt s'interessasse alle anticaglie.»

Giordino guardò all'esterno mentre Pitt si avviava attraverso il fiordo. Poi sospirò.

«Non lo sapeva neppure lui.»

La distesa di ghiaccio era solida e piatta, e Pitt attraversò il fiordo abbastanza in fretta. Scrutò le minacciose nubi grigie che avanzavano da nord-ovest. In pochi minuti il sole fulgido avrebbe lasciato il posto a una tormenta così forte e accecante da cancellare tutti i punti di riferimento, e Pitt non aveva proprio voglia di smarrirsi. Non aveva neppure la bussola e quindi affrettò il passo.

Due girifalchi bianchi volteggiarono sopra di lui. Sembravano immuni al gelo artico, e facevano parte del gruppo poco numeroso di uccelli che restavano al nord anche durante il durissimo inverno.

Pitt avanzò in direzione sud, attraversò la linea della costa e si orientò con il fumo che saliva dalla baracca degli archeologi. La chiazza lontana e indistinta sembrava inquadrata in un telescopio rovesciato.

Gli mancavano dieci minuti appena per arrivare al campo quando la tempesta lo investì. Un attimo prima poteva vedere a una distanza di circa venti chilometri, un attimo dopo la visibilità si era ridotta a meno di cinque metri.

Incominciò a correre, sperando con tutto il cuore di procedere in linea quasi retta. La neve che l'investiva orizzontalmente gli batteva contro la spalla sinistra, e Pitt si tendeva in avanti per compensare la deviazione.

Il vento divenne forte e lo martellò sino a che gli fu difficile reggersi in piedi. Continuò a scalpicciare alla cieca, guardandosi i piedi e contando i passi, con le braccia strette intorno alla testa. Sapeva che era impossibile procedere in quel modo senza finire per muoversi in cerchio. E sapeva che avrebbe potuto passare accanto alla baracca degli archeologi a una distanza di pochi metri e insistere nella marcia fino a quando fosse crollato per lo sfinimento.

Tuttavia, anche con quel vento gelido, sentì che gli abiti pesanti gli permettevano di stare abbastanza al caldo; il battito del cuore, poi, gli assicurava che non si stava sforzando troppo.

Quando, secondo i suoi calcoli, pensò di essere arrivato approssimativamente nelle vicinanze della baracca si fermò un attimo. Procedette poi per altri trenta passi prima di fermarsi di nuovo.

Svoltò verso destra, avanzò per circa tre metri, fino a che poté continuare a vedere le sue impronte che si perdevano nel turbine di neve dalla direzione opposta. Poi riprese a camminare parallelamente al percorso originale, con la massima metodicità, come se cercasse un oggetto sotto il mare. Dopo una sessantina di passi le vecchie impronte svanirono nella neve.

Seguì cinque percorsi paralleli prima di deviare ancora verso destra: allora ripeté il procedimento fino a quando fu sicuro di aver ripercorso la linea centrale ormai cancellata. Poi continuò dall'altra parte. Al terzo percorso inciampò in un mucchio di neve e cadde contro una parete di metallo.

La seguì intorno a due angoli prima d'incontrare una fune che conduceva a una porta. L'aprì con un gran respiro di sollievo, assaporando la certezza di aver corso un pericolo mortale e di averlo superato. Entrò e s'irrigidì.

Non era un alloggio, ma una grande baracca che copriva una serie di scavi.

La temperatura non era molto superiore allo zero, tuttavia era già molto trovarsi al riparo dal vento furioso.

L'unica luce era quella che giungeva da una lanterna Coleman. In un primo momento Pitt pensò che la struttura fosse deserta. Ma poi una testa e due spalle emersero da una trincea. La figura stava inginocchiata e gli voltava le spalle. Sembrava impegnatissima a raschiar via la ghiaia smossa da un piccolo cornicione.

Pitt uscì dall'ombra e guardò verso il basso.

«È pronta?» chiese.

Lily si voltò di scatto, più perplessa che allarmata. Aveva la luce negli occhi e riusciva a scorgere soltanto una forma indistinta.

«Pronta per che cosa?»

«Per venire in città a divertirsi.»

Quando le giunse la risposta, Lily alzò la lampada e si rimise lentamente in piedi. Lo guardò in faccia, affascinata ancora una volta dagli occhi di Pitt, mentre lui ammirava i capelli rossoscuri che brillavano come il fuoco sotto la luce fulgida della lampada sibilante.

«Il signor Pitt... vero?» Lily si sfilò il guanto destro e tese la mano.

Anche Pitt si tolse il guanto e le strinse la mano energicamente.

«Preferisco che le belle signore mi chiamino Dirk e mi diano del tu.»

Lily si sentiva come una ragazzina intimidita. Le dispiaceva di non essere truccata e si chiedeva se Pitt s'era accorto che aveva le mani callose.

Inoltre, per aggravare la situazione, si sentì arrossire.

«Lily... Sharp», balbettò. «Io e i miei amici ci auguravamo di poterti ringraziare per questa notte. Pensavo che scherzassi, quando hai parlato dell'invito a cena. Davvero, non credevo che ti avrei rivisto.»

«Come puoi sentire...» Pitt s'interruppe e inclinò la testa verso il gemito del vento. «...neppure una tormenta è stata sufficiente per tenermi lontano.»

«Devi essere proprio matto.»

«No, solo tanto stupido da illudermi di poter battere in velocità una tempesta artica.»

Risero entrambi e la tensione si dileguò. Lily si mosse per uscire dalla trincea. Pitt le prese il braccio e l'aiutò, poi si affrettò a lasciarla quando la vide rabbrividire.

«Non dovresti restare alzata.»

Lily sorrise con aria coraggiosa. «Sono indolenzita per un mare di lividi blu e neri che non posso mostrarti. Ma sopravvivrò.»

Pitt sollevò la lanterna e girò lo sguardo sulle pietre e sugli scavi. «Che cos'è?» chiese.

«Un antico villaggio eschimese che fu abitato dal 100 al 500 dopo Cristo.»

«E come si chiama?»

«L'abbiamo battezzato Gronquist Bay Village in onore del dottor Hiram Gronquist che l'ha scoperto, cinque anni fa.»

«È uno dei tre uomini che ho conosciuto stanotte?»

«Quello grande e grosso che aveva perso i sensi.»

«Cosa sta, adesso?»

«Ha un grosso bozzo violaceo sulla fronte, ma lui giura di non avere mal di testa né capogiri. Quando ho lasciato la baracca, stava arrostendo un tacchino.»

«Un tacchino?» ripeté Pitt, sorpreso. «Dovete avere un sistema di rifornimenti di primissimo ordine.»

«Un aereo Minerva a decollo verticale, prestato all'università da un ricco ex allievo. Arriva da Thule ogni due settimane.»

«Pensavo che, a queste latitudini, il periodo degli scavi fosse limitato al cuore dell'estate, quando le temperature sopra lo zero scongelano il terreno.»

«In generale è così. Ma con il riparo prefabbricato e riscaldato sopra la sezione principale del villaggio, possiamo lavorare da aprile fino a tutto ottobre.»

«Avete trovato niente di straordinario, per esempio un oggetto che non avrebbe dovuto esserci?»

Lily lanciò a Pitt un'occhiata strana. «Perché vuoi saperlo?»

«Per curiosità.»

«Abbiamo ritrovato centinaia di manufatti interessanti per ricostruire il tenore di vita e la tecnologia degli eschimesi preistorici. Li abbiamo nella baracca, se vuoi vederli.»

«Posso sperare di vederli davanti a una porzione di tacchino?»

«Certamente. E il dottor Gronquist è un ottimo cuoco.»

«Avrei voluto invitarvi tutti a cena a bordo della nave, ma questa tormenta ha sconvolto i miei progetti.»

«E noi siamo sempre contenti di vedere una faccia nuova al nostro tavolo.»

«Avete scoperto qualcosa di eccezionale, non è vero?» chiese bruscamente Pitt.

Lily sgranò gli occhi in un'espressione sospettosa. «Come fai a saperlo?»

«Greco o romano?»

«Impero romano. Per la precisione, di Bisanzio.»

«Di Bisanzio... ma che cosa?» insistette Pitt con un'espressione dura negli occhi. «È molto antico?»

«È una moneta d'oro della fine del quarto secolo.»

Pitt parve rilassarsi. Trasse un respiro profondo e lo esalò mentre Lily lo fissava confusa e piuttosto irritata.

«Avanti, sentiamo!» esclamò la donna.

«E se ti dicessi», cominciò lentamente Pitt, «che c'è una fila di anfore sparse sul fondo marino, proprio davanti al fiordo?»

«Anfore?» ripeté sbalordita Lily.

«Ho una registrazione effettuata dalle nostre telecamere subacquee.»

«Erano arrivati veramente fin qui.» Lily sembrava in trance. «Avevano veramente attraversato l'Atlantico. I romani erano sbarcati in Groenlandia prima dei vichinghi.»

«Le prove sembrano confermarlo.» Pitt passò il braccio intorno alla vita di Lily e la guidò verso la porta. «A proposito, devi restare bloccata qui dentro per tutta la durata della tempesta oppure la corda là fuori conduce alla baracca?»

Lily annuì. «Sì, è tesa fra le due costruzioni.» Si fermò a guardare il punto dove aveva scoperto la moneta. «Pitea, il navigatore greco, aveva compiuto un viaggio epico nel 350 avanti Cristo. Secondo le leggende, navigò l'Atlantico in direzione nord e finì per raggiungere l'Islanda. È strano che non esistano leggende o documenti su un viaggio dei romani qui a nord-ovest, settecentocinquant'anni più tardi.»

«Pitea fu fortunato. Riuscì a tornare a casa per raccontare la sua avventura.»

«Credi che i romani, dopo essere venuti fin qui, si siano persi durante il viaggio di ritorno?»

«No, credo che siano ancora qui.» Pitt guardò Lily con un sorriso energico. «E noi due, mia bella signora, li troveremo.»

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